I racconti di Davide TrentarossiMagazineStoria e Cultura

La strada che non ho preso – giorno 1: il musicista

Ci avete mai pensato a come sarebbe andata se…? Non mi dite che non avete mai avuto la curiosità di esplorare una strada che non avete preso. Dove sareste ora se invece di iscrivervi all’Università aveste scelto di imbarcarvi sulle navi da crociera e girare il mondo per lavoro? Oppure se non foste partiti per l’Australia? Vorrei accompagnarvi verso il Natale con una libera interpretazione di “A Christmas Carol” di Dickens. Oggi, domani e dopo vi racconterò tre storie di strade non prese. Seguitemi fra le pagine di CronacaOssona.com .

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VENERDI 23 DICEMBRE<il musicista> Oggi sono uscito presto dall’ufficio, così ne ho approfittato per fare un giro in centro, a gustarmi l’atmosfera natalizia. Passeggiavo a zonzo per le vie che circondano la cattedrale di questa splendida città, districandomi, con fatica, tra i passanti con il loro seguito di pacchi dono. Le luci delle vetrine a ricordare che, nonostante la pandemia, la guerra e le cattive notizie, il Natale torna ogni anno. Certo, il loro è uno spirito prettamente commerciale, non v’è dubbio, ma nulla ci vieta di interpretarlo nella maniera che più preferiamo. Uscito dalla Galleria, in piazza della Scala, nell’angolo di fronte, un musicista di strada cattura la mia attenzione. Non ha la classica chitarra e, soprattutto, non canta Jingle Bells o altre musiche natalizie. Non fosse per la tastiera elettronica, lo scambieresti facilmente per un menestrello d’altri tempi. Rimango un poco distante, appartato, ad ascoltarlo. La voce è un po’ roca, forse nemmeno troppo intonata, ma canta bellissime storie di viaggi, di persone ed amori lontani, persone che potrebbero benissimo essere amici tuoi e, forse, se lo ascolti per bene, comprendi che sta cantando proprio di te.

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Ehi, ora che lo guardo con attenzione, noto una notevole somiglianza con la persona che ogni mattina mi dà il buongiorno dallo specchio. Non credo sia più vecchio di me, ma i segni del tempo sul suo volto sono estremamente evidenti. C’è qualcosa, non solo nel suo aspetto fisico, ma anche nel suo modo di fare e di raccontare, cantando, le storie di un’umanità che sento vicina, che mi cattura. Non riesco ad allontanarmi da lui. Così, prendo coraggio e mi avvicino. Termina la canzone e sorseggia da un bicchiere di vino rosso che tiene appoggiato sulla custodia della tastiera, appoggiata al muro dietro di lui. “Ne vuoi?“, mi chiede senza nemmeno salutare: non è necessario. Sentiamo entrambi di essere legati da una strana connessione di cui, io per lo meno, non sono interessato a conoscerne né il motivo nè, tantomeno, lo scopo. “Grazie!” e mi passa il suo bicchiere, mentre ci sediamo sulla panchina lì a fianco. “Suoni bene. Ma, soprattutto, racconti storie in grado di toccare il cuore.

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Sorride, per ringraziare, ma cambia immediatamente discorso: “Da quanto è che non prendi più in mano la chitarra?“. La sua domanda mi spiazza. Che ne sa lui di me? Da piccolo avevo studiato per un po’ di tempo musica: la teoria, il solfeggio e un poco pianoforte. Ma quello non è certo lo strumento che va bene per un ragazzino. A quell’età, quello che ti serve è una chitarra, imparare quattro accordi durante l’inverno così che, quando verrà il tempo, potrai essere l’anima della compagnia, con la tua chitarra, sulle spiagge della più classica estate italiana. “Per essere uno che non aveva mai preso molto sul serio quelle poche lezioni di musica“, continuò, “te la cavavi molto bene. Certo, avresti dovuto studiare per poterne tirar fuori da vivere, ma il talento c’era“. Cerco di scavare nella memoria fra tutti gli amici di un tempo, ma non mi ricorda nessuno in particolare, se non, appunto, me stesso. Ma come è possibile?

Cerco di prenderlo in contropiede, non voglio fargli capire che non so chi sia, così ribatto: “E tu? Cosa mi racconti? Che cosa hai combinato in tutto questo tempo: anche a te il talento non manca!“. Mi squadra, dritto negli occhi, con lo sguardo di uno a cui non puoi mentire, perché ha già compreso la tua verità. “La ricordi l’estate dell’Ottantaquattro? … La spiaggia di Fregene? …”. Un lampo illumina la mia memoria: l’estate più bella della mia vita… beh, a sedici anni non può che essere l’estate più bella della tua vita! Quell’anno ero andato a Fregene in compagnia di un paio di amici (lui certamente non era fra loro)… e della mia chitarra ovviamente. In spiaggia non ci avevamo impiegato molto a fare amicizia con un gruppo di ragazzi del luogo e con… “Federica!” esclamai. Lui sorrise, annuendo. “Come potrei scordare quell’estate?” continuai. Volevo dirgli che non c’era alcuna traccia di lui nella mia memoria, nonostante i ricordi fossero vividi, come se il tempo non fosse mai trascorso da allora, ma mi scocciava fare la figura dello smemorato: lui del resto ne parlava con una tale lucidità e precisione da farmi sentire in colpa per le mie mancanze.

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Eh sì, Federica! Fu proprio lei a spingermi a fare sul serio con la musica“. Un momento, stop, ferma, alt! vero è che son passati tanti anni, forse anche troppi, ma in spiaggia, l’unico a fare musica ero io: di questo ne ero assolutamente certo, come del sole che sorge ogni mattina. Cosa sta dicendo? E poi, ero io ad avere occhi solo per Federica…e, speravo, almeno fino ad oggi, lei solo per me. “Fu proprio lei!”, riprese, guardando in alto per ricordare meglio. “Quando tornai qui a Milano, a fine estate, prima ancora di rimettermi sui banchi di scuola, tornai dal nostro vecchio maestro di musica, te lo ricordi?“. Annuii, era un uomo che non potevi dimenticare: né lui né la pazienza che aveva con chi, come me, non voleva studiare il solfeggio, ma semplicemente implorava «per favore, insegnami quei quattro accordi che mi servono per far cadere ai miei piedi le ragazze». “Terminato il liceo, non mi iscrissi all’Università come facesti tu, ma continuai a studiare musica. E quello fu il mio mondo!“.

Ricordo bene il rientro a casa quell’anno. Mai come allora ero stato veramente indeciso sul mio futuro. A lungo avevo provato a immaginare una vita nella musica, ma non ebbi il coraggio di provarci. Decisi di seguire la via più sicura del liceo, dell’Università e di tutto ciò che venne dopo. Anche se, ad essere onesti, non so se fu veramente una decisione. Forse, sarebbe più corretto dire che «non presi la decisione di dedicarmi alla musica», il resto fu solo una mera conseguenza. Non so spiegare bene come ciò sia possibile, ma quell’uomo seduto accanto a me, che sembra conoscermi alla perfezione, ma di cui io non ricordo praticamente nulla, potrebbe benissimo essere la strada che, nell’estate dell’Ottantaquattro, non presi.

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Appuntamento a domani con la seconda parte

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Davide Trentarossi

Nato a Milano, l’8 maggio… di qualche anno fa, ma cresciuto in provincia. Ho scoperto molto tardi la passione per la scrittura. Sono laureato in Ingegneria Informatica. Amo viaggiare, e questo mi ha portato a lavorare in giro per il mondo. Molti aeroporti sono stati il mio “Second Office”. Dall’Australia al Sud America, da Mosca a Miami, oltre all’Europa. Amo viaggiare leggero: nel mio trolley il computer su cui appuntare le idee per un nuovo libro, l’inseparabile smartphone, per restare connesso al resto del mondo e un paio di cuffie per ascoltare la musica, un’altra grande passione. Visita la mia pagina su Amazon: https://www.amazon.it/Davide-Trentarossi/e/B081QT913W/

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