Lettere al direttore

Unioni omosessuali. In che direzione andare?

Ai tanti che sono cattolici come me e che, quando si parla di riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, si stracciano le vesti strillando che la famiglia è solo quella composta da un uomo e da una donna suggerisco di leggere il discorso fatto da Benedetto XVI il 9 dicembre 2006 davanti ai rappresentanti dell’Unione giuristi cattolici italiani riuniti a congresso per dibattere il tema: «La laicità e le laicità».

Parlando proprio di laicità dello Stato, a un certo punto, il papa osserva che è compito dei credenti contribuire a elaborare un concetto di laicità che: «affermi e rispetti la legittima autonomia delle realtà terrene, intendendo con tale espressione, come ribadisce il Concilio Vaticano II, che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare» e, partendo da questa premessa fornisce queste indicazioni:

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«Non può essere la Chiesa a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decidere liberamente i modi migliori e più adatti di organizzare la vita politica. Ogni intervento diretto della Chiesa in tale campo sarebbe un’indebita ingerenza».

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I criteri a cui i politici e gli amministratori debbono attenersi quando mettono a punto una legge restano quindi quelli della ricerca del bene comune e del rispetto del consenso popolare, tutto il resto è solo ideologia e, una volta per tutte, dovrebbe essere messo da parte. Le domande a cui occorre rispondere quando si parla di riconoscimento delle unioni di fatto sono quindi solo tre: Cosa è giusto per le persone coinvolte? Cosa è conveniente per la società? Qual è il sentire comune su questo argomento?

Alla prima domanda è facile rispondere, perché seguendo il criterio del bene delle persone coinvolte, è buona cosa dare alle coppie omosessuali la possibilità di avere l’opportunità di regolarizzare la loro convivenza. Non essere considerati due estranei dallo Stato, dagli enti locali, dalla legge, li aiuterebbe senz’altro a consolidare la loro relazione e risolverebbe tanti problemi che rischiano di presentarsi nella loro vita di tutti i giorni: dalla possibilità di assistere il compagno quando ha qualche problema sanitario fino al permesso di andarne a prendere i figli quando escono da scuola (perché ci sono migliaia di persone che vivono in una coppia omosessuali e che hanno dei figli).

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Anche alla seconda domanda è facile rispondere se non si parla solo di diritti, ma si parla anche di doveri dei partner di una coppia omosessuale che chiede di essere riconosciuta. Imporre loro l’obbligo di assistere il compagno, o definire alcuni doveri anche quando la relazione dovesse finire (come capita in Germania o in Gran Bretagna), significa alleggerire le amministrazioni pubbliche di non pochi problemi come, ad esempio, il sostegno economico al partner non autosufficiente o l’assistenza in caso di malattia o di invalidità.

Alla terza domanda non è invece possibile dare una risposta su due piedi. Da un lato ci sono tantissimi sondaggi che dimostrano come la maggioranza degli italiani sia a favore di un riconoscimento delle coppie dello stesso sesso, dall’altro c’è una classe politica eletta dagli italiani che è invece orientata diversamente per motivi legati a una lettura sanfedista del rapporto che c’è tra valori religiosi e scelte politico amministrative. Qualcuno potrebbe dire che una classe politica che non è in grado di rappresentare il popolo dovrebbe andarsene a casa. Ma fino a quando gli elettori non giudicheranno i politici anche in base alla loro capacità di rappresentarne le istanze etiche dovremo fare i conti con questo paradosso.

Di fronte a questa empasse mi permetto però di chiedere a quanti, tra politici e amministratori, continuano ad opporsi a qualunque forma di riconoscimento dei diritti e dei doveri delle coppie omosessuali, quale modello di società hanno in mente quando continuano a ripetere che «le famiglie che vanno riconosciute sono solo quelle composte da un uomo e da una donna».

Da un lato ci sono infatti tutte le società dell’Europa occidentale che, seguendo quello spirito di laicità della politica che fa parte della tradizione occidentale così come l’ha descritta Benedetto XVI nel suo discorso del 9 dicembre 2006, hanno norme che stabiliscono diritti e doveri delle coppie omosessuali, dall’altro ci sono le società del Medio Oriente e di quasi tutta l’Africa, dove il riconoscimento di qualunque diritto delle persone omosessuali si scontra con un fondamentalismo che pretende di imporre le norme religiose attraverso le leggi dello Stato.

I politici e gli amministratori che si oppongono al riconoscimento delle coppie omosessuali hanno tutto il diritto di preferire i modelli proposti dalle società mediorientali a quelli proposti invece dalle società dell’Europa occidentale. Ma in questo caso debbono dirlo chiaramente in maniera che i loro elettori sappiano che i loro Stati di riferimento non sono la Svizzera o la Germania, ma l’Egitto e la Turchia. Gianni Geraci Portavoce Gruppo del Guado

Nota della redazione
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