Imbolc, la Dea Brigid e i Falò di Sant’Antonio
Per i celti, come del resto per tutte le culture tradizionali, il tempo non era lineare ma ciclico. Questo scorrere inesorabile era scandito da feste stagionali, legate ad eventi astronomici, ai quali i nostri antenati facevano riferimento per pianificare allevamento e agricoltura.
Le feste principali che scandivano la ruota dell’anno celtico erano quattro: Imbolc, che si celebrava tra la notte del 31 gennaio e il 1 febbraio; Beltane che si festeggia dal 31 aprile al 1 maggio; Lughnasad dal 31 luglio al 1 agosto e infine Samhain dal 31 ottobre al 1 novembre.
Imbolc è la prima festa del nuovo anno e si trova esattamente tra il Solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera. Il nome deriva dal gaelico e significa letteralmente “in grembo”, rappresentando così il periodo in cui le pecore davano alla luce gli agnellini. Come facevano a capire gli antichi quando esattamente cadesse la festa, senza tutti gli strumenti tecnologici di oggi? Sicuramente si affidavano all’arco celeste, alle bellissime stelle.
I celti infatti erano ottimi astronomi e per capire il periodo esatto di questa festa facevano affidamento sulla sorgere della stella Capella appartenente alla costellazione dell’Auriga. Una caratteristica principale delle feste celtiche è la presenza del fuoco che per gli antichi aveva un ruolo fondamentale in quanto rappresentava calore, protezione, insomma la vita stessa.
Durante la celebrazione di Imbolc venivano accesi grandi falò che illuminavano le campagne; venivano fatti passare all’interno dei falò (quando ovviamente le fiamme erano più deboli) gli armenti che infine andavano bagnati con acqua proveniente da fonti sacre. Possiamo definire questo un rituale legato alla fertilità e alla speranza di una primavera, ormai prossima, rigogliosa e produttiva. Divinità protettrice di questa festa era la dea Brigit, chiamata così nelle isole britanniche, mentre nelle Gallie era indicata col nome di Brigantia/Belisama.
Il simbolo della dea è la croce di Brigit, che non è altro che una svastica, antichissimo simbolo solare. Ella era la dea protettrice degli animali, in particolar modo quelli da latte e da fattoria, infatti per questo come accennato prima, gli animali vengono benedetti attraversando i falò. Con l’avvento del cristianesimo, la festa di Imbolc, venne trasformata nella festa della Candelora, che proprio con la benedizione delle candele riprendono il fuoco sacro. Nella cultura cristiana la celebrazione corrispondente ad Imbolc è la Candelora. Anche Sant’Antonio nonostante si festeggi qualche settimana prima è riconducibile ad Imbolc. Il santo è molto caro alla tradizione padano-alpina, durante la quale vengono accesi falò in molti paesi. Sant’Antonio, poi, come la dea Brigit, era protettore degli animali.
Nel folklore popolare sia Sant’Antonio sia la festa della Candelora sono dei segna-tempo. Ne ritroviamo testimonianza in alcuni dei proverbi in dialetto che gli anziani ancora raccontano:
“Sant’Antoni, frecc del demoni”. Oppure recita un’altro noto proverbio lombardo “Alla candelora da l’inverna sem föra, ma se piöv, fioca o tira vent, per quaranta dì sem amò in dent” (Al giorno della Candelora, dall’inverno siamo fuori, ma se piove, nevica o tira vento, per quaranta giorni ci siamo ancora dentro).
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