L’avanzata ucraina in Russia. Un ufficiale ucraino ne parla al nostro quotidiano
Pavel Kovalenko, nome di fantasia scelto da un ufficiale dell’Ucraina in servizio nei reparti che hanno partecipato all’avanzata ucraina nella regione dell’Oblast (provincia) di Kursk, ma attualmente in Italia per la ricerca di fondi per una associazione di aiuti umanitari, ci ha fornito alcune spiegazioni su quanto sta succedendo, dal punto di vista militare. La reale identità è ovviamente protetta. Non si poteva non approfittare della fortuna di avere una visione di prima mano di quanto accade. Scrive in italiano? Si, è bilingue. Così tanto bilingue da poterlo credere, non del tutto a torto, italiano.
Non ci darà notizie segrete, anche se io spero di si, ma sarà in grado di contestualizzare e dare una visione di insieme di posti e mentalità che conosciamo poco e che sfuggono alla nostra comprensione quando leggiamo le notizie di cronaca sulla guerra, tanto vicina quanto pericolosa, fra Russia e Ucraina. Inauguriamo così il primo articolo di Pavel Kovalenko
L’avanzata ucraina in Russia
Dopo due anni, gli ucraini sono passati al contrattacco: penetrati per 50km in territorio russo, nell’Oblast (provincia) di Kursk, hanno occupato 82 municipalità e catturato migliaia di prigionieri, lasciando allibito il mondo che era abituato, dal 2022, a vedere le forze russe costantemente all’attacco ed in avanzata, specie nel Donbas, e gli ucraini difendersi con fatica e a prezzo di immensi sacrifici.
Intendiamoci: questo inaspettato e clamoroso slancio delle forze armate di Kiyv non cambierà le sorti del conflitto e non è un punto di svolta; le perdite sia territoriali, sia di uomini e mezzi da parte russa sono, tutto sommato, insignificanti sul piano strettamente militare. Però, è un segnale importante e attentamente seguito dagli analisti militari di tutto il mondo, perché è molto significativo che per la prima volta l’Ucraina abbia preso l’iniziativa tattica; e ancora più importante è il modo in cui è riuscita ad ottenerla. Vediamo come.
L’infiltrazione ucraina
Gli ucraini hanno attentamente analizzato le molte manchevolezze delle forze russe e ne hanno individuato i punti deboli. Quindi hanno lanciato un blitz focalizzato su obiettivi accuratamente scelti, molto ben preparato con poche unità specializzate e supportate da reparti ad alta tecnologia: inizialmente hanno distrutto le armi pesanti e le postazioni difensive russe con droni e missili a guida satellitare, poi hanno lanciato in profondità i loro reparti secondo le tattiche dell’infiltrazione applicando il principio dello “schwerpunkt”, infilandosi cioè nelle falle della linea difensiva russa, arrivando fulmineamente alle spalle dei reparti nemici e accerchiandoli prima che potessero rendersene conto.
In questo modo hanno tagliato fuori e catturato interi battaglioni russi, impadronendosi rapidamente dei nodi stradali e dei centri abitati, fondamentali in un territorio che ne ha pochi e sparsi, lasciando le truppe russe prive di sostegni logistici. Questo è stato possibile, oltre alle tattiche già dette prima, grazie appunto all’alta tecnologia messa in campo dagli ucraini. I droni forniti dall’occidente, sia quelli armati che quelli non armati da ricognizione, hanno distrutto le postazioni russe, le armi pesanti, hanno sconvolto le comunicazioni, fornito notizie dettagliate del campo di battaglia, e soprattutto si sono dimostrati inattaccabili dalle interferenze russe.
C4I: (comando, controllo, comunicazioni, computer, intelligence)
Nei primi mesi del conflitto, i russi erano in grado di pilotare i droni ucraini e di “crackarli” quasi a piacimento; ora sono stati del tutto impotenti. Il divario tecnologico con la Nato (fornitrice agli ucraini della più recente tecnologia) è ancora più evidente nell’ambito C4I (comando, controllo, comunicazioni, computer, intelligence), ossia nella guerra elettronica: gli ucraini hanno pressoché azzerato le comunicazioni elettroniche e radio dei russi, inibendo perfino l’accesso ai satelliti GLONASS, isolando i centri di comando locali, “accecando” i droni avversari.
E lo smacco tecnologico sembra essere la lezione più dura per le forze armate russe, e l’aspetto più attentamente osservato dagli analisti militari, a quanto riportano i media occidentali (Financial Times e New York Times anzitutto).
I soldati russi si arrendono persino ai droni
Dal canto loro i soldati russi sono apparsi del tutto imbambolati di fronte al blitz ucraino, anche se inaspettato: la linea difensiva del confine russo-ucraino è andata in pezzi fin da subito, i soldati che la presidiavano (quasi tutti giovanissimi di leva, trattandosi di un fronte secondario e a bassa intensità) sono apparsi raccogliticci e malmessi, privi di istruzioni, isolati dai loro comandi e sparpagliati fra una miriade di bunker improvvisati: si sono arresi in massa (in alcuni casi si sono arresi perfino ai droni, come si è visto in un video andato in onda sul TG1).
Sul fronte di Kursk i russi stavano facendo la guerra senza farla
Non c’era nulla dietro i pochi e sparsi bunker di confine, non era stata predisposta una seconda linea e nemmeno dei piani di contro-intervento in caso di attacco. Insomma, sul fronte di Kursk i russi stavano facendo la guerra senza farla. Questo risultato clamoroso, che ha riportato l’iniziativa agli ucraini, almeno sul fronte nord (nel Donbas i russi invece continuano a premere verso ovest con decisione) si è svolto secondo uno schema tipicamente previsto nelle dottrine militari della Nato: reparti scelti e ben preparati, molta tecnologia, molti materiali, applicazione di forza preponderante nei punti deboli dell’avversario, superiorità di movimento contro difese statiche, accerchiamento e distruzione.
Un evidente salto di qualità dell’esercito ucraino
I veicoli blindati occidentali e gli armamenti ad altissima precisione di derivazione USA impiegati nell’attacco in effetti lasciano pochi dubbi che la regia sia mista, ucraino-americana. Il salto di qualità compiuto dall’esercito ucraino è quindi evidente: da una forza armata ancora in stile sovietico, raffazzonata, impreparata, malgestita, quale era all’inizio del conflitto, oggi appare molto più capace e combattiva e in grado di gestire operazioni complesse secondo i canoni occidentali.
La Russia umiliata
E se il risultato militare in sé è stato modesto, quello propagandistico e morale è invece enorme: l’armata russa ha subito una solenne umiliazione, il morale dei suoi soldati è al minimo storico e i malumori dell’opinione pubblica russa stanno crescendo, con sempre più persone che chiedono apertamente a Putin quale sia il senso di questa “operazione militare speciale”.
Un’intera brigata ucraina di volontari russi anti-Putin
Gli stessi russi sono lacerati al loro interno, perché l’assetto sovietizzante che Putin, nostalgico dichiarato dell’URSS, ha dato alla Russia non trova tutti d’accordo, al punto che nell’esercito ucraino vi è un’intera brigata formata da volontari russi anti-Putin. Errori e limiti dell’esercito russo “L’operazione militare speciale” russa ha fallito i suoi obiettivi perché, oltre alle tipiche carenze strutturali russe (corruzione, carrierismo politico, carenze logistiche, impreparazione dei quadri, catena di comando macchinosa che lascia poco spazio all’improvvisazione sul campo di battaglia), c’è stata una sottovalutazione del potenziale bellico e del morale avversario, determinata principalmente da alcuni fattori.
Gli effetti della propaganda
Innanzitutto ha fallito la propaganda russa, che dipinge il governo di Kiev come “nazista”, servo della NATO e degli USA e inviso alla popolazione. Il Cremlino contava di far leva sul sentimento anti-UE effettivamente diffuso fra l’opinione pubblica ucraina e sulla nostalgia per Mosca e l’URSS (questa invece molto meno diffusa).
Inizialmente, infatti, nei comandanti militari russi, c’è stata realmente la convinzione di “denazificare” l’Ucraina e di recuperarla alla Madre Russia, e che il popolo ucraino lo avrebbe accettato senza troppe resistenze. Come sappiamo, è avvenuto l’opposto: l’invasione ha coalizzato la popolazione ucraina intorno alla dirigenza politica nazionale, e anche la minoranza russofona del Donbas, occupato dai russi fin dal 2014, è diventata ostile alla politica di Mosca poiché si aspettava una transizione politica pacifica, e non un’invasione militare, ancorché sotto falso nome.
La politica e gli armamenti
La deportazione in massa di bambini ucraini per la loro “rieducazione” (una procedura di stampo sovietico) non è stata bene accolta dalla popolazione, che non ragiona più come ai tempi di Stalin. La stessa tattica di impiego russa è stata del tutto inadeguata: i carri armati molto spesso sono stati fatti avanzare senza il supporto della fanteria, diventando facile bersaglio per le truppe avversarie armate di moderni missili anticarro e di droni armati, forniti in gran numero dall’Occidente che hanno letteralmente salvato l’Ucraina.
I carri armati russi, tutti di modello ormai obsoleto (T-64, T-72, T-80: tutti progettati 40-50 anni fa) non sono all’altezza delle armi anticarro più moderne. Si calcola che alla fine di gennaio 2024 l’esercito russo ne abbia persi almeno 2000, confermati da fonti Osint (Open Source Intelligence).
Sparano un po’ qua e un po’ là
La temutissima artiglieria russa, che in altri conflitti è stata decisiva, è stata inefficace e mal gestita; anziché raggruppare numerosi reparti di cannoni e lanciarazzi per bombardamenti concentrati sui singoli obiettivi, come la dottrina russa prevederebbe, i cannoni russi sparano invece solo per brevi periodi e su diversi obiettivi per volta, perché hanno poche munizioni e devono soddisfare le pressanti richieste di numerosi comandanti in difficoltà sul campo.
Le difficoltà dei russi
I convogli di rifornimento cadono vittime delle imboscate ucraine perché le strade sono poche, malridotte e lunghissime, facili da interrompere e impossibili da difendere. Le unità di fanteria sono impiegate inizialmente a spizzichi e bocconi, con tattiche obsolete basate su vecchi schemi che potevano andar bene in Cecenia ma che sono facilmente neutralizzati dagli ucraini che dispongono di armi moderne.
Fanteria impreparata, come i loro comandanti
A ciò si deve aggiungere la cronica impreparazione della inesperta fanteria russa, addestrata poco e male, lo scarso coordinamento fra i vari reparti ciascuno dei quali fa per conto suo (l’unità tattica russa di base è ancora il classico “gruppo meccanizzato di manovra” di circa 700 uomini, immutato da 40 anni), le comunicazioni insicure e insufficienti fra i comandi superiori e quelli inferiori: le unità russe, sul campo, si scambiano reciprocamente per il nemico, non si sostengono a vicenda, le loro linee di rifornimento sono sotto il tiro degli ucraini, poco meglio addestrati ma molto più determinati.
I comandanti russi di battaglione e reggimento (quelli cioè più determinanti sul campo) si sono dimostrati incompetenti e promossi solo per carrierismo politico. A tutte queste difficoltà i comandi russi hanno rimediato con tattiche ancora più vecchie ma ben collaudate: assalti frontali in massa, che ovviamente hanno causato perdite enormi, con il risultato di un crollo del morale fra i soldati, che non vedono lo scopo di questo conflitto e considerano ormai l’entrare in battaglia come un suicidio sicuro.
La Wagner
La celebre brigata mercenaria Wagner (attualmente rischierata in Africa) in realtà è stata ininfluente nel quadro del conflitto: male equipaggiata, scadente nella preparazione e nella disciplina, si è abbandonata a numerosi crimini ed abusi, essendo spesso in difficoltà contro truppe più organizzate. Con l’afflusso di alcune unità speciali, la situazione è cambiata e i russi sono riusciti a conseguire diversi successi locali (Mariupol ad esempio) ma è questo il punto: quando si ricorre alle unità speciali per fare il lavoro della normale fanteria, vuol dire che non sta funzionando.
E questo è confermato anche dal ricorso sempre più frequente da parte dei russi ad armamenti sofisticati e costosi, come i missili balistici o aviolanciati, per sbloccare le situazioni che i loro soldati sul campo non riescono a sbloccare.
L’esercito ucraino
Lo stesso discorso però vale anche per l’Ucraina, le cui truppe presentano più o meno gli stessi punti deboli e le stesse mancanze. Nonostante gli sforzi adottati per adeguarlo agli standard occidentali, l’esercito ucraino è ancora ben lontano dai livelli qualitativi dei Paesi della Nato: scarseggiano i quadri, la disciplina e la formazione. Permane l’alcoolismo, dilagano la corruzione, il carrierismo politico e il pressappochismo.
Soprattutto venivano utilizzati principalmente armamenti obsoleti di fabbricazione sovietica/russa, lasciati nei magazzini in enorme quantità dopo la secessione dall’URSS, i cui pezzi di ricambio hanno cominciato a scarseggiare fin dalle prime battute del conflitto perché era impossibile accedere ai ricambi in Russia, e negli ex Paesi del Patto di Varsavia, ora passati nell’Alleanza Atlantica. Gli armamenti sono stati poi sostituiti per la maggior parte da mezzi più moderni. Notare che l’Ucraina ha un’industria nazionale per gli armamenti, che però sono venduti quasi tutti all’estero per procurarsi valuta pregiata, di cui ha un grande bisogno, e le scorte militari negli ultimi anni sono state vendute per lo stesso motivo.
I madornali errori degli ucraini
Anche lo Stato Maggiore ucraino ha commesso molti errori potenzialmente disastrosi nel corso del conflitto. Per ragioni di politica interna, non ha distrutto i vitali ponti sul Dniepr nel sud del Paese, trovandosi così con le formazioni corazzate russe saldamente a ovest del fiume Dniepr dopo pochissimi giorni di guerra. Un secondo errore, imputabile alla natura dell’esercito che risente dell’impronta sovietica (i generali ucraini arrivano tutti dalle accademie militari dell’Armata Rossa e la mentalità sovietica è ancora forte a tutti i livelli nelle truppe di Kiyv) è stato lo scarso coordinamento tra le unità.
I contrattacchi ucraini, infatti, sono stati isolati, spesso ad opera di unità improvvisate, e se in alcuni settori sono stati comunque efficaci lo si deve più alla scarsa reazione nemica che all’effettiva capacità dei comandanti, che anche qui sono apparsi impreparati. Comunicazioni e intelligence sono state spesso carenti e imprecise, e male utilizzate dai comandi ucraini. Lo Stato Maggiore ucraino poi è andato in crisi diverse volte, con i vertici militari licenziati spesso dal presidente Zelensky per la scarsa determinazione nel combattere gli ex-colleghi russi.
Sia chiaro: la Russia è tutt’altro che sconfitta
Nonostante tutte le sue difficoltà, è ancora lei ad avere l’iniziativa del conflitto e va ricordato che formalmente non c’è uno stato di guerra fra Russia e Ucraina, per cui le forze russe impiegate sono solo minime rispetto al reale potenziale di Mosca. Lo scenario che si delinea all’alba dell’offensiva ucraina è quindi ancora più preoccupante. Ormai è evidente che in realtà si tratta di un conflitto fra Russia e Nato, combattuto in un territorio che è di fatto il più avanzato e orientale dell’Europa.
All’alba del conflitto Russia _Nato
Putin sa bene che l’Ucraina, da sola, non può reggere il conflitto e che se la Russia dovesse fare sul serio, arriverebbe in pochi giorni al confine polacco. Così come sa che, presto o tardi, la Nato (cioè gli americani, senza i quali la Nato non ha alcun peso militare) dovrà intervenire militarmente.
Lo ha capito la Polonia, che ha improvvisamente deciso di raddoppiare le sue forze armate e il presidente polacco Duda ha detto senza giri di parole che c’è la concreta possibilità di un conflitto con la Federazione Russa; lo ha capito la Romania, che invoca disperatamente delle basi Nato sul suo territorio nell’illusione che bastino a difenderla; e lo hanno capito Svezia e Finlandia, che sono già entrate nella Nato e stanno freneticamente rinnovando i loro armamenti.
Le speranze di Putin
In cuor suo, l’ex dirigente del KGB che domina il Cremlino prega ardentemente che l’Ucraina colpisca duramente il territorio russo, perché secondo la Costituzione russa questo gli darebbe il destro per dichiarare ufficialmente lo stato di guerra e mobilitare sul serio le forze armate (5 milioni di uomini e decine di migliaia di carri armati e aerei).
Putin, davanti a Cina e India si presenta come “l’aggredito”
Inoltre, Putin sta già astutamente sfruttando la penetrazione ucraina in territorio russo sul piano della propaganda, ponendosi davanti ai suoi alleati (Cina e India su tutti) come aggredito dalla Nato e invocando così più aiuti e rifornimenti. Finora la Nato si è ben guardata, infatti, di cadere nella trappola, ma per salvare l’Ucraina (e deve assolutamente salvarla) potrebbe essere costretta a cascarci.
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