Occhiali spaziali: innovazione e tecnologia dalla Terra allo spazio al Centro Ottico Rossini & Licciulli di Parabiago
A Parabiago, al centro ottico Rossini & Licciulli , che si trova al numero civico 44 della statale del Sempione,
Il questore Petronzi ha salutato i giornalisti della sala stampa della questura, preparandosi, in questi giorni a completare il suo trasferimento , in qualità di commissario di governo, a Trento. È forse un momento che parrebbe il meno adatto per un cambio al vertice, a causa delle diverse emergenze di ordine pubblico in atto e dei problemi di gestione della delinquenza, la promessa è però quella di tornare. Un gruppo di cronisti di cronaca nera, molto milanesi e piuttosto numerosi, hanno partecipato al rush finale, la conferenza stampa di chiusura mandato, in cui ha dato l’immagine della città che lascia al questore Megale, che partirà da questo punto.
Giuseppe Petronzi è stato definito spesso il questore milanese più odiato dei rapper. Una immagine che lui stesso ha definito come la risposta al problema creato da una generazione di giovani che scambia troppo spesso la divulgazione del loro legittimo messaggio antisistema con la realtà di una vita oltre ai limiti della legalità, e che, al contrario delle generazioni passate, è convinta che i video siano una proiezione della sua personalità . È una generazione che vive la narrazione dei video di protesta come se fosse la realtà quotidiana.
I tre anni e mezzo passati a Milano dal questore Petronzi hanno coinciso con molti cambiamenti sia nella società sia nel giornalismo. Prima del covid noi giornalisti di cronaca, alla mattina, in questura, dopo la comunicazione degli eventi in evidenza, prendevamo fisicamente possesso del “mattinale”, cioè dell’elenco stampato di tutti gli interventi di polizia del giorno precedente, e da questo elenco chiedevamo la lettura di qualunque verbale ci colpisse. Un atto di assoluta trasparenza che permetteva di esercitare il vero senso del nostro lavoro: la decisione della rilevanza giornalistica di un determinato fatto, di ciò che diventa notizia.
La digitalizzazione e gli eventi della pandemia hanno reso difficile questo passaggio, che ora si basa sempre sulla conoscenza, ma che ha un filtro in più, quello dl poliziotto che sceglie gli eventi che possono interessare i giornalisti. La trasparenza non è in discussione, ma poliziotti e giornalisti di cronaca nera fanno due lavori simili ma diversissimi negli scopi. Non sempre i poliziotti riescono a mettersi nei panni di un giornalista e capire il suo punto di vista. Questo crea qualche problema e il rischio di diventare delle veline si alza. Eppoi, capita che le notizie date non escano o che escano notizie non del tutto complete.
C’è stato un incremento della comunicazione dei particolari del sistema di prevenzione previsto per gli eventi di ordine pubblico, come le manifestazioni e gli eventi, che ha permesso di capire, e quindi spiegare meglio ai lettori, quello che è il reale rapporto fra il dispiegamento delle forze e la garanzia della sicurezza. Si potrebbe anzi dire che il mandato di Petronzi sia stato caratterizzato in modo preponderante dalla visione della sicurezza e del soccorso come servizio ai cittadini piuttosto che come mera repressione dei reati.
A chi gli ha domandato cosa ha imparato da Milano, Petronzi ha risposto che ha ancora tanto da imparare e che una realtà come quella milanese richiede attenzione. Dice che ha imparato ad essere più pignolo, preciso, e accurato e che Milano è una città che va servita, in in cui la sicurezza è un asset importante. Aggiunge che guidare 3500 poliziotti è impegnativo ma significativo.
Il riferimento è agli ultimi due poliziotti feriti in servizio. Jessica, cui un delinquente ha rotto il naso, e Christian di Martino, che si è preso tre coltellate da un marocchino drogato a Lambrate. Nonostante quello che hanno passato e la gravità delle loro ferite sono ambedue desiderosi di tornare presto in servizio. “Jessica e Christian sono due poliziotti che si sono messi fra la minaccia e la comunità e ne hanno pagato le conseguenze. “
“La complessità e l’accelerazione delle dinamiche della città è tale che bisogna adeguarsi il più possibile. Fin che si rimane nel campo delle proteste si fa ordine pubblico, con un perimetro di carattere non violento. Le manifestazioni sono sotto monitoraggio perché la protesta rimanga all’interno di regole e leggi, in un continuo confronto con organizzatori e con altri attori del tavolo della sicurezza. Non mi piace che stia nascendo un sentiment che faccia sentire minacciata una parte.”
Sono le parole di Petronzi. La minaccia è spesso improvvisa e il pericolo è la sua fluidità. Il problema è arrivare in tempo quando si verifica. Guardando i dati di Lambrate e di quella stazione si vede che nessun altro fatto grave si è verificato in quel luogo. C’è un tema sugli irregolari, che sono tanti. In Italia c’è un sistema giudiziario repressivo e un altro sistema amministrativo e preventivo. Però tutto ciò è affrontabile coordinandosi con altri strumenti, come si è già fatto coinvolgendo il terzo settore e creando un sistema di risposte che normalizzano la situazione.
Chi ha descritto Milano come Gotham city? “È un po’ afflittivo ma li capisco” dice Petronzi. “Lambrate ad esempio non è Gotham city, ma nel momento in cui si è verificata l’aggressione lo è diventata”.
È quindi, infine, la visione di una città in cui la minaccia alla sicurezza pubblica si comporta come le metastasi di un tumore curato e tenuto sotto controllo. Ogni tanto, anche spesso, nasce un focolaio improvviso, in un punto inaspettato del corpo, che obbliga a correre velocemente ai ripari per limitarne i danni.
Articolo aggiornato il 16/05/2024 12:44