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Al Beccaria botte con sacchetti di plastica riempiti di sabbia, i polsi legati dietro la schiena con le manette per impedire che i ragazzi alzassero le mani per proteggersi il volto, pestaggi organizzati come atti punitivi. Il terrore che prendeva ragazzi, e che causava loro notti e notti di insonnia, continuava anche quando sono stati trasferiti in altre strutture carcerarie. La paura di essere portati nell’ufficio del capoposto, o in alcune altre celle del carcere Beccaria, in cui non c’erano le telecamere, li bloccava. Sembra la descrizione di ciò che succedeva a Guantanámo e invece siamo a Milano, nel carcere minorile dedicato al filosofo, giurista e scrittore Cesare Beccaria, che in questo momento si starà rivoltando nella tomba.
Una storia terribile che ha portato all’arresto di 13 agenti di polizia penitenziaria, quella raccontata dal procuratore di Milano Marcello Viola, e che ha quasi dimezzato il personale della polizia penitenziaria del Carcere Beccaria di Milano. 21 coinvolti sui 50 agenti circa in forza all’istituto penale minorile.
Se 13 poliziotti penitenziari creavano questo clima di terrore, e 8, fra cui il comandante del corpo della polizia penitenziaria del Beccaria, ora sospesi dai pubblici uffici, falsificavano le relazioni di servizio per diminuire la portata dei fatti, gli altri 29 agenti non avevano occhi e orecchie? Il procuratore ha detto che è un aspetto di cui ancora non si può parlare perchè fa parte di un filone di indagini ancora da appurare e concludere. Posticceremo la domanda di qualche mese, ma, insomma, diciamo lo stesso che chiunque se la porrebbe, questa domanda.
“E’ una conferenza stampa che non avremmo voluto tenere. Una brutta pagina per le istituzioni”. ha commentato il procuratore che ha tenuto la conferenza stampa insieme ai suoi collaboratori e ai vertici del nucleo investigativo della polizia penitenziaria. “Possiamo però dire che abbiamo avuto la massima collaborazione anche dal ministero, dal dipartimento della giustizia minorile e da quello della polizia penitenziaria. Tutti hanno lavorato per accertare la verità.”
Poi ha aggiunto: “E’ un momento di sconforto perché questo è avvenuto in carcere e le condizioni all’interno del carcere sono comunque difficili. È un luogo di sofferenza. La polizia penitenziaria è intervenuta molte volte per risolvere situazioni problematiche. Bisogna puntare molto sulla formazione e sulla professionalità dei poliziotti, perché è l’unica soluzione per operare all’interno di situazioni difficili come quelle del carcere”.
Già, perchè mentre la Costituzione italiana parla di pena e condanna come fattori educativi e di reinserimento dei condannati in una società, avevamo un carcere minorile in cui le guardie picchiavano i ragazzi in modo continuato e che ritenevano giustificato dalle condizioni del carcere l’intervento violento nei loro confronti. Siccome la maggior parte di quei ragazzi è in prigione perché ha avuto dei comportamenti violenti al punto da creare danni, anche gravi, ad altre persone l’educazione, il recupero sociale e la rieducazione nei loro confronti, il mostrargli che si può vivere diversamente, si sono realizzati massacrandoli di botte.
Attualmente il fascicoli parlano di almeno 12 vittime, e 12 sono stati anche gli episodi di lesioni aggravate documentate dalla procura. Le collaboratrici del procuratore Viola hanno parlato degli indagati come di persone deviate dal sistema, ma hanno voluto aggiungere che non si tratta però di un sistema malato.
L’imbarazzo del procuratore questa mattina era palese nonostante la calma che dimostrava. “Bisogna puntare molto sulla formazione e sulla professionalità degli operatori del carcere minorile, perché è l’unica soluzione per operare all’interno di situazioni difficili come questa”.
Ha cioè sottolineato pubblicamente come in questo momento la professionalità non ci sia e come non ci sia stata almeno da quando sono cominciati questi fatti. Gli arrestati sono tutte persone che hanno superato dei concorsi pubblici per diventare agente di polizia penitenziaria. Dovrebbero essere specializzati nel trattare i minori, dovrebbero aver letto almeno un paio di libri sull’educazione dei ragazzi problematici, perlomeno i testi attribuiti a Cesare Beccaria, e c’è invece da chiedersi come abbiano superato l’esame di stato e come l’abbiano superato i loro 29 colleghi che non si sono mai accorti di nulla.
È stato anche raccontato, durante la conferenza stampa, come chi faceva domande su quei modi “educativi” fosse osteggiato in ogni modo, anche se non si era arrivati alla minaccia esplicita. Le omissioni all’interno dei fascicoli e nelle relazioni erano però tante, al punto di arrivare alla sospensione dagli uffici pubblici per i responsabili.
Le indagini hanno preso il via da delle segnalazioni al garante dei diritti delle persone private della libertà. Hanno parlato i ragazzi, hanno parlato educatori di altre carceri, hanno parlato una volta diventati maggiorenni e trasferiti in carceri per adulti. Se ne sono accorti dei parlamentari, dai ministeri ma per almeno due anni la vicenda è rimasta fra le pieghe delle indagini e chissà da quanto tempo questi trattamenti andavano avanti. Per fortuna ad un certo punto qualcuno li ha finalmente ascoltati.
Tra una risposta e l’altra alle domande dei giornalisti si è riusciti a capire cosa ha scatenato gli eventi che hanno portato alla rottura del sistema. Mettendo in fila le risposte del procuratore si è capito che uno degli agenti aveva tentato un approccio omosessuale con uno dei ragazzi, scatenandone la reazione scandalizzata e soprattutto l’avversione. Un certo giorno un ragazzo ha aggredito una delle guardie, sembra che il ragazzo fosse quello molestato sessualmente e l’agente il molestatore. Dopo questa aggressione il ragazzo è stato picchiato e il giorno dopo altri tre agenti, che non avrebbero dovuto essere in servizio in quel momento lo hanno prelevato e portato nell’ufficio del Capo posto dove lo hanno malmenato soprattutto al viso.
Gli agenti della penitenziaria picchiavano i ragazzi davanti agli altri con dei bastoni, per umiliarli e per incutere loro il terrore all’interno dell’ufficio del Capo posto. questo dicono le indagini. Ma c’è stato un altro fatto. Una fuga, lo scorso Natale, di un gruppo di ragazzi del Beccaria. Alcuni erano tornati a casa, altri erano stati presi. Uno dei fuggitivi era una delle vittime di queste violenze. Cosa si successo agli altri dentro al carcere non lo sappiamo, ma ora, alla luce di questi fatti anche quella vicenda prende tutto un altro aspetto.
Articolo aggiornato il 06/05/2024 10:10