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Milano. I genitori dei ragazzi magrebini che hanno violentato le ragazze in piazza Duomo sono dei “falliti”

Non si capisce per quale motivo i ragazzi che aggrediscono e usano violenza sulle donne pensino di passarla liscia. Se fossero italiani diremmo che la colpa è dei genitori che sono stati troppo permissivi, o forse perchè sono figli di delinquenti che si comportano nello stesso modo e che quindi “tale padre, tale figlio”. La paura di passare per razzisti e di essere accusati di non essere accoglienti e cosmopoliti impedisce a molte persone di dire ciò che pensano quando si tratta di ragazzi della seconda generazione, figli degli immigrati dal nord Africa nati in Italia o arrivatici da piccolissimi.

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Anche io, a causa della particolare aggressività di giudici e personaggi di sinistra nei confronti dei giornalisti non allineati alle idee che loro sostengono, ho qualche timore a scrivere quella che è una lapalissiana realtà: i genitori di questi ragazzi hanno miseramente fallito nel loro compito educativo e hanno tirato su dei delinquenti. Non c’entra il disagio giovanile. Chi ha testa, cervello e onestà li usa, giovane o vecchio che sia.

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Non è neppure una mancanza della scuola, altrimenti sarebbero così delinquenti anche i ragazzi italiani, visto che frequentano le stesse scuole. Non è la mancanza di denaro o di lavoro, perchè sono mancanze che sentiamo tutti e il più sfigato dei pusher magrebini porta casa tra i 3mila e i 5mila euro al mese esentasse. Questi ragazzi vengono da una cultura così diversa e incivile da essere di natura delinquenziale, violenta e dove il sopruso sul più debole è considerato un atto di forza? Anche se sono nati e vivono in Italia questa tipologia di cultura è così innata da impedire l’ integrazione di questi ragazzi nella nostra? Non penso, altrimenti Marocco, Tunisia ed Egitto sarebbero paesi terrificanti, popolati solo da predoni e assassini, invece non risultano alla cronaca guerre o conflitti particolari .

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Nel Magreb c’è un paese sempre in guerra e politicamente destabilizzato: la Libia. Però è rarissimo che trovare a Milano ragazzi libici che stuprano, rapinino o distruggano. E’ raro persino trovare in giro per Milano delinquenti libici adulti.

E’ chiaro che la società non c’entra molto

All’inizio di questa riflessione scrivevo. “Non si capisce per quale motivo i ragazzi che aggrediscono e usano violenza sulle donne pensino di passarla liscia”. Questo è un po’ il centro di tutta la discussione e delle mie domande. Non vale solo per i fatti di piazza Duomo. Vale un po’ per ogni fatto delinquenziale che succede a Milano. Spesso sono accusata di usare le nazionalità dei colpevoli nei titoli degli articoli di cronaca nera che pubblico. Non è vero. Pubblico la cittadinanza che risulta dai loro documenti, quando sono arrestati. La mia attenzione è focalizzata sul reato e sull’arresto, sulla storia. Così facendo salta però all’occhio che le cittadinanze nelle storie di determinati reati sono sempre le stesse. Si può dire che si tratti di un fenomeno sociale.

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Se però gli italiani appaiono poco, appaiono poco anche alcune altre cittadinanze. E’ raro, e forse non mi è mai capitato, di scrivere i nomi di alcuni paesi africani. Non ricordo arresti di persone della Sierra Leone, dello Zambia, del Benin, o dell’Angola, del Ruanda. Una volta ne era capitato uno del Mali e aveva fatto notizia. I nomi delle cittadinanze africane dei colpevoli nella cronaca nera sono sempre gli stessi: Ghana, Gambia, Marocco, Egitto, Tunisia e Algeria. Perchè?
E’ un problema del Magreb? Perchè allora non si trova mai la Libia, il Sahara occidentale o la Mauritania?

Un’altra domanda che ci si può porre nell’analizzare quello che non si può più di evitare di definire un “fenomeno da attenzionare” è come mai tanti giovani con la cittadinanza dei paesi citati pensino di essere più furbi delle forze dell’ordine, le sfidino, si fanno trascinare per strada quando presi in flagrante, e considerino ingiusta la reazione alla cattiveria che loro usano verso le persone civili.

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Centro revisioni a Tradate

I video e l’odio reciproco

La mania di filmare ciò che accade e postarla su social rende nel contempo facile e complicato il lavoro del giornalista. Non ho bisogno di essere sempre sul posto, una foto o un video da qualche parte li si trova sempre. Oggi mi è prezioso Telegram e la chat Welcome to favelas. Ho visto in questi giorni un paio di video che testimoniano un altro fattore di quello che è ormai un fenomeno sociale: l’odio reciproco. La gente a Milano si è accorta prima dei giornalisti che c’è una ricorrenza di nomi nei fatti che accadono e risponde in modo molto istintivo ai furti e al degrado generale che si è instaurato in città.

Conclusioni affrettate?

Il primo video, qui sotto è quello di un arresto ( spero sia un arresto) ad una delle fermate del famigerato filobus 91. Il colpevole è un uomo del Marocco che ha rubato un telefono cellulare, dicono nella chat. Sono comunque due scene piuttosto comuni della Milano notturna. Erano comuni anche qualche mese fa, prima delle elezioni amministrative di Milano.

Far presto è bene

Il secondo è il video dell’arresto di un presunto rapinatore o spacciatore in zona Buenos Aires. Anche in questo caso sono dati pochi particolari ma bastano per capire che la situazione a Milano è esplosiva. Non prendetevela con il poliziotto. In qualche modo doveva portare il recalcitrante soggetto fino alla macchina. Mica poteva star lì ad aspettare i suoi comodi e che decidesse di farsi arrestare. Scusate, ho usato la parola “mica”. Temo però sia troppo milanese per questa Milano.

Nota della redazione
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Ilaria Maria Preti

Giornalista, metà Milanese e metà Mantovana. Ho iniziato giovanissima come cronista, critica gastronomica e politica. Per anni a Tvci, una delle prime televisioni private, appartengo alla storia della televisione quasi nella stessa linea temporale dei tirannosauri. Dal 2000 al 2019 speaker radiofonica di Radio Padania. Ora dirigo, scrivo e collaboro con diverse testate giornalistiche, coordino portali di informazione, sono una Web and Seo Specialist e una consulente di Sharing Economy. Il futuro è mio

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