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In queste ultime settimane ho iniziato a seguire un percorso formativo online verso la certificazione di Google Cloud Engineer; per la serie: non si finisce mai di andare a scuola e che, ripensando ai miei trascorsi al liceo, fa abbastanza sorridere. Ad ogni modo, dicevo che ho intrapreso questo percorso, vediamo come sarà la via e, soprattutto, l’esito. Durante una delle primissime lezioni il docente faceva una considerazione che trovo estremamente interessante, non solo nell’ambito di questo corso, ma con una valenza ben più generale. Ogni rivoluzione (tecnologica) che si è verificata nel corso del tempo è stata caratterizzata e, soprattutto, agevolata e guidata da un cambio di paradigma. Le Società che sono sopravvissute alle rivoluzioni o che le hanno guidate sono quelle che sono state in grado di abbracciare le innovazioni tecnologiche per fare un radicale cambiamento del proprio status quo ed entrare nel nuovo mondo. Un discorso molto simile lo avevo sentito fare da Sergio Marchionne. Qualche mese fa la RAI ha proposto un docufilm sull’ex AD di FIAT; guardandolo, ricordo di esser stato colpito da un concetto che Marchionne era solito sostenere: “Se volete avere successo, dovete avere il coraggio di rompere gli schemi. Se faremo sempre cose prevedibili ci faranno fuori in tre secondi“.
La rivoluzione che stiamo vivendo in questi ultimi anni è lo spostamento verso il cloud, la nuvola a cui accennavo nel titolo. Sarebbe banale e limitante confinare tale rivoluzione al mondo dell’informatica. In realtà la trasformazione è estremamente più radicale, non soltanto da un punto di vista tecnico ed economico. Muoversi sul Cloud per un’Azienda significa cambiare nel profondo il proprio modo di differenziarsi dagli altri: con l’avvento del Cloud, la differenziazione dalla concorrenza avverrà sulla base della tecnologia, cioè del software che ne sta alla base e un software è valido solo se centrato sui dati. Il Cloud diviene quindi una metafora per indicare che ogni Azienda sta diventando un’Azienda basata sui dati: i dati sono lo strumento attraverso il quale l’Azienda è in grado di creare valore. Quando ero ragazzo, una frase che sentivo spesso era: “è un sognatore, ha sempre la testa tra le nuvole“; ironico pensare come ora, avere, letteralmente, la testa tra le nuvole, sia forse la cosa più concreta che si possa fare!
La lezione di Marchionne a cui accennavo poco sopra, oltre che buon senso, direi che è sotto gli occhi di tutti. Gli esempi portati dal docente della lezione che stavo seguendo indicavano quella come la via maestra. Dunque, bisogna rompere gli schemi. Bella teoria, ma la domanda successiva è: “ok, partendo da dove?” E la risposta è arrivata in una delle lezioni seguenti. In una di queste, infatti, viene introdotta la filosofia cosiddetta DevOps, anche questa, guarda caso, un cambio di paradigma. DevOps, unione di Developers (Sviluppatori) e Operators (Operatori), è una filosofia che, facendola molto breve, promuove una strettissima collaborazione tra chi produce un software e chi lo utilizza, andando a scardinare il mondo come era inteso sino a quel momento in cui le due categorie procedevano in silos stagni, senza comunicazione reciproca se non quella iniziale per la definizione dei requisiti del software. Uno dei cardini su cui si regge questa filosofia è quello di considerare il fallimento e l’errore come parte integrante del processo. Ci si chiede, visto che i computer sono intrinsecamente inaffidabili, come possiamo aspettarci la perfetta esecuzione? Si tratta, cioè, di accettare il fatto che errore e fallimento siano inevitabili; la successiva analisi, lucida, senza colpevolizzazione di nessuno, diviene la lezione che impariamo e la base per costruire qualcosa di migliore.
Questo cambio di paradigma serve, nel caso di DevOps, a costruire software migliori, ma può essere benissimo esteso alla vita di tutti i giorni. Proviamo per un attimo a fermarci e pensiamo a quante volte siamo portati a giudicare gli altri quando sbagliano. Questa mattina, stavo andando al bar per fare colazione e stavo sentendo la canzone “Imbattuto” di Massimo Priviero. Uno dei versi iniziali recita: “Se incontri chi ti ha ferito, prova a non dirgli la colpa è tua; avrai torto oppure ragione, ognuno di noi ha la verità sua“. Eccolo il cambio di paradigma, applicato alla vita di tutti i giorni. Non essere chiusi nel facile giudizio sugli altri e sulle loro azioni, ma, al contrario, aprirsi per comprendere la motivazione che ci sta dietro. E’ la rottura di uno schema estremamente potente e consolidato: si fa molto più in fretta a giudicare, che a comprendere. Impariamo a eliminare il giudizio dalle nostre giornate e sostituiamolo piuttosto con qualcosa di più costruttivo, come il feedback e usiamolo insieme a chi ci sta di fronte per comprendere e, insieme, impararne una lezione.
Esiste anche un’interessante implicazione di questo nuovo paradigma. Quante volte avremmo voluto fare qualcosa, ma la paura del fallimento e del conseguente giudizio negativo ci ha fermato? Ma se non avessimo fallito? Liberarsi del giudizio degli altri stimola la curiosità e la creatività.
La canzone di Priviero sta volgendo al termine ed è qui che raggiunge il suo apice: “Quel che fai è anche quello che vali, il resto il vento se lo porta via“. La domanda da un milione di dollari non è più: “io, che cosa faccio? “, ma: “qual è il valore di quello che faccio?” o, per dirla meglio, “che valore sto portando al mondo e, in ultima analisi, alla mia vita con quello che sto facendo?“
Articolo aggiornato il 25/01/2022 11:26