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Ha 62 anni, ha alle spalle una vita di lavoro normale e di continuo pagamento di tasse e contributi pensionistici. Ha avuto la sfiga di diventare ipovedente, quasi cieco. Non si è arreso e ha trovato lavoro in una cooperativa sociale che sostiene ragazzi disabili e li aiuta ad essere economicamente indipendenti, o quasi.
Invece di adagiarsi e restare, come sarebbe alla fine suo diritto, a casa a farsi mantenere dallo Stato fa il contabile part time, utilizzando la sua esperienza e il suo cervello fare ancora la sua parte nella società, per 500 euro al mese. Non è molto ma la pensione che gli spetta è di 214 euro al mese, e nessuno può vivere con 214 euro. Non è che con 714 euro al mese si possa comunque vivere, a Milano.
Non per lo stato italiano, però, perchè l’Agenzia delle entrate lo considera una persona ricca, e gli ha chiesto di pagare, per il 2019, 560 euro di tasse entro marzo, quale contributo alle spese dello Stato, del Comune e della regione Lombardia. Giusto per rendere attuale l’articolo della Costituzione che dice che ognuno deve contribuire alle spese dello Stato in base al suo reddito.
In Italia ci sono persone che prendono il reddito di cittadinanza, 750 euro al mese per non lavorare. Gliele versano sul conto corrente e nessuno gliele tassa. Un ipovedente lavora e guadagna 500 euro al mese (più la pensione da 214 euro che comunque deriva dai contributi che lui stesso ha versato in passato) e lo Stato ha l’arroganza di chiedergli 560 euro all’anno di tasse.
Quando succedono queste aberrazioni vuol dire che uno Stato ha perso la sua funzione di Servizio ai cittadini, ed è diventato qualcos’altro. La definizione esatta la chiedo ai lettori. Quella che darei io non sarebbe possibile considerarla giornalisticamente obiettiva.
Articolo aggiornato il 18/01/2021 21:30