Occhiali spaziali: innovazione e tecnologia dalla Terra allo spazio al Centro Ottico Rossini & Licciulli di Parabiago
A Parabiago, al centro ottico Rossini & Licciulli , che si trova al numero civico 44 della statale del Sempione,
Veneto. Siamo all’ultimo giorno del 2019. Lo concludo raccontandovi la storia di Sonia, 17 anni di cui 3 passati in un centro di igiene mentale (un manicomio post legge Basaglia, per essere più diretti e non politically correct) per minori, pur non avendo commesso nessun reato.
Sonia è un nome di fantasia. Devo fare molta attenzione, nello scrivere questo articolo, perchè ho promesso a questa giovanissima donna che proteggerò la sua identità a costo della vita, per evitare le ritorsioni che potrebbero esserci nei suoi confronti e in quelli di sua madre. La storia è terrificante e non so quale sarà l’epilogo.
Sonia ha avuto un permesso premio di 10 giorni, che sta passando a casa con sua madre, ma i suoi amici mi hanno già comunicato che alla fine di questo permesso non rientrerà nell’istituto. Sonia si renderà irreperibile fino a che, fra pochi mesi, non diventerà maggiorenne. Sono al corrente di un reato e lo sto denunciando? No. Sonia è un’altra bambina imprigionata dal sistema e non ha mai commesso reati. Non si droga, non è autolesionista, non ha la bulimia e non è anoressica. Non ha tentato il suicidio. Non ha ucciso nè rapinato nessuno, ma è in prigione.
Quando aveva circa 8 anni, suo padre ha abbandonato la famiglia. La madre si è trovata sola e qualcuno le ha suggerito di rivolgersi ai servizi sociali di un comune della provincia di Padova, per un aiuto economico. Qui, invece di ricevere il sostegno adatto alla situazione, si è vista portare via i bambini, che sono stati messi in comunità.
E’ così che è iniziato il calvario di Sonia. La piccola aveva un problema agli occhi di facile soluzione, ma ha subito 11 spostamenti di comunità in meno di 5 anni.Non è stata curata. Il sistema non ha tenuto conto dei suoi probleni di salute. I primi tempi era stata affidata ad una famiglia che la trattava male. Poi la hanno inserita in comunità. I tanti spostamenti hanno impedito che potesse essere curata e ora ha perso la vista.
Sonia vuole andare a scuola, vuol fare il liceo artistico. A 13 anni è scappata dalla comunità in cui si trovava ed è ritornata a casa dalla madre. Le condizioni economiche non sono le migliori ma la ragazzina è brava, la mamma si dá da fare e riescono ad andare avanti. Per un po’ i servizi sociali e il tribunale la ignorano, la lasciano a casa della madre. Sonia si iscrive e frequenta con profitto il liceo artistico, fino al terzo anno. Non ci vede molto, ma disegna davvero bene, è brava. Poi però le difficoltà economiche ritornano e madre e figlia sono sfrattate. Vengono prima ospitate in una comunità e poi le danno una casa di housing sociale in attesa che si liberi una casa popolare. Sonia ha 15 anni.
Più di una volta durante questo periodo Sonia ha detto alle assistenti sociali e al suo tutore che non voleva tornare in comunità ma che voleva restare con sua madre e andare a scuola. È’ una adolescente, ha diritto a dire quel che desidera fare e vuole una vita normale, nonostante la leggera disabilità. Invece, un giorno allontanano la madre chiamandola ad un incontro con le assistenti sociali e a casa, mentre Sonia è da sola, si presentano infermieri, poliziotti, il tutore e, nonostante le proteste della ragazzina, la obbligano ad un trattamento sanitario obbligatorio, un tso, e la internano per 15 giorni in un reparto psichiatrico. Al 14esimo giorno, con la dimissione già pronta per il giorno seguente, la sedano e la trasportano in un centro di igiene mentale per minori, appena riaperto dopo un grosso scandalo, che si trova a 400 chilometri di distanza da sua madre. “Quando sono arrivata non capivo nulla, ero ancora sotto l’effetto delle medicine. Mi facevano delle domande ma non riuscivo a rispondere in modo connesso” . Mi racconta Sonia.
Sonia è ricoverata da tre anni. Sottoposta a cure con psicofarmaci moderatori dell’umore, non adatti agli adolescenti (come è scritto sul foglietto illustrativo del farmaco). Non è stato possibile conoscere la diagnosi della sua malattia. La madre non ha la responsabilità genitoriale e quindi non le fanno vedere la sua cartella clinica. “in quell’istituto non possiamo tenere nulla in camera, nemmeno un pettine. Possiamo tenere solo una matita e un quaderno. E quando dico una matita, intendo proprio una matita sola. Nessuna figura o illustrazione umana. Ci son le ragazzine con la bulimia che quando vedono un corpo umano vorrebbero essere come quello e pensano di essere troppo grasse. Non possiamo andare in bagno dopo mangiato e nemeno tirare l’acqua se qualcuno non ha visto se abbiamo vomitato. Tutti, a prescindere dal motivo prr cui siamo lì”, racconta Sonia
Ho tentato di contattare il curatore legale di Sonia nominato dal tribunale dei minori del padovano. Lei deve avere la cartella clinica di Sonia. Avrei voluto chiederle se c’era una buona ragione per un trattamento simile nei confronti di una ragazzina. Non era nemmeno necessario che mi dicesse la diagnosi, bastava la sua parola che mi garantisse la necessità del ricovero. Ma non si può. E’ in vacanza e non ha risposto al telefono. Le ho lasciato un messaggio in segreteria. Troverà la sorpresa quando tornerà in ufficio.
Sonia ha chiesto di essere lasciata libera di vivere una vita normale di poter tornare a scuola, di non essere più ricoverata in una casa di cura per malati psichici. Non ha ricevuto nessuna risposta.
Sua madre, per vederla, deve viaggiare in treno per tutta italia. Parte il venerdì dopo il lavoro per poterla vedere il sabato pomeriggio per un’ ora e poi tornare a casa e andare al lavoro al lunedì. Fa questo viaggio ogni 15 giorni da 3 anni a questa parte. Sonia non può scappare da quell’istituto. E’ in cima ad una montagna, ben lontano da qualunque ferrovia o mezzo pubblico. “Sono stanca. Voglio poter studiare, riprendere la scuola. Dovrò cambiare indirizzo. Non potrò più fare il liceo artistico. Inoltre le medicine che mi danno, mi offuscano la vista ancora di più. Non mi dicono neanchè perchè le devo prendere.”
Ora da quella comunità da cui non può uscire, non può andare a scuola, non può fare nulla di ciò che fanno i ragazzini della sua età, le hanno concesso di tornare a casa 10 giorni per il Natale. Se le concedevano 15 giorni sarebbe decaduto il ricovero forzato. Dovrebbe ritornare il 2 gennaio 2020, facendo ancora 400 chilometri in treno. Sonia però non tornerà. Ha scritto al giudice del tribunale dei minori e glielo ha detto. Resterà nascosta, non so dove, fino a quando compirà 18 anni e potrà scegliersi un avvocato da sola. Nel frattempo chi la sta aiutando cercherà di far rivedere tutta la sua storia e di renderle la sua libertà.
Vi ho raccontato questa storia difficile. Ho dovuto nascondere molti particolari e non ho potuto darvi le visioni di chi ha messo Sonia in questa situazione. Però, nel tempo seguirò la vicenda e, quando Sonia compirà 18 anni, potrò aggiungere i particolari che oggi mancano. Come si dice: stay tuned, perchè da oggi farò la cronaca della fuga e della latitanza di una ragazzina che è scappata da un manicomio che non dovrebbe esistere più.
Articolo aggiornato il 01/01/2020 23:44
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Brava hai offerto aiuto a chi non può difendersi da soli, metticela tutta e continua ad aiutare colororo che ne anno bisogno, perche schiaacciati da una burucrazia cieca nei confronti delle persone bisognose che chiedono aiuto
Mi spiace tanto per questa bimba cresciuta troppo in fretta. Mi raccomando i cellulari, ormai sono rintracciabili anche se sono spenti, dille di stare molto attenta a contattare la mamma solo se necessario e per vie traverse. Temo altrimenti la fuga sarà breve ❤️