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A Novate Milanese i furti sono colpa di chi ne parla?

Novate milanese – Qualche giorno fa abbiamo pubblicato la notizia di un furto in una scuola media. Nell’articolo erano riportate le parole di una delle insegnanti, la professoressa Emilia Pogliani. Il suo era il rammarico per quanto successo, e la speranza che il colpevole del reato fosse punito. Però qualcuno in paese ha cominciato a criticarla e attaccarla perchè “ha parlato”.

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Un furto è violenza. Offende, ferisce l’intimità, umilia. Succede anche quando il furto avviene sul posto di lavoro, tanto più se si tratta di una scuola. Questo perchè la scuola è luogo dove i valori, i buoni principi, dovrebbero essere vissuti sul serio. Vivere nel concreto l’ordine, l’onestà, l’amore per il lavoro e per la verità son le condizioni per poterli insegnare. Eppure, proprio per aver vissuto a pieno l’amore per la verità, per l’onestà e per l’educazione dei ragazzi è stata ripresa, accusata di essersela presa con gli extracomunitari. In pratica, per lei è pronta un’ accusa di razzismo. Una accusa assurda, perchè nell’articolo nessuno ha parlato della probabile nazionalità dei colpevoli. Non lo ha fatto l’autore dell’articolo e tantomeno lo ha fatto l’insegnante.

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Le parole della professoressa Emilia Pogliani

Ripeto le parole della professoressa Emilia Pogliani, l’insegnante che ha parlato ad alta voce del furto avvenuto nella scuola media Orio Vergani di Novate Milanese. Lo faccio perchè chi si è prestato a farsi strumentalizzare dal buonismo falso e imperante, rifletta attentamente sulle parole che ha pronunciato. La parola, dice il proverbio, uccide più della spada. Specialmente quando ingiusta. Emilia Pogliani ha detto: “E’ la prima volta dopo anni di insegnamento che accade un furto di queste dimensioni. E’ tremendo come la violenza di questi ultimi anni del contesto milanese colpisca da vicino e colpisca anche il corpo insegnanti. La cultura della violenza di questi anni nei ragazzi genera emarginazione e dispersione scolastica, spauracchi che noi combattiamo. Ci auguriamo che non accada più nulla di simile e che il responsabile di tale atto venga perseguito a termini di legge”.

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Chi vede razzismo in queste parole è chiaramente in malafede. Quale colpa si imputa alla professoressa? Di aver parlato del furto degli otto computer? Di essersi augurata che la giustizia trionfi? Di trovare tremenda la cultura della violenza? Parrebbe di si, dalle polemiche che l’hanno colpita in paese.
Eppure se il suo accusatore, leggendo l’articolo, ha pensato agli zingari, agli extracomunitari, a profughi o ai clandestini, la colpa non è della professoressa Pogliani o dell’articolo. La colpa é sua. O sa chi è il probabile colpevole del furto ma è tanto ipocrita da non volerlo riconoscere, oppure è talmente razzista che la sua mente legge quello che non è stato scritto, in una sorta di nuova manifestazione del lapsus freudiano. Gli consiglio di leggersi “psicopatologia della vita quotidiana” di Sigmund Freud, e di farsi, quindi, un bell’esame di coscienza.

Nota della redazione
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Articolo aggiornato il 25/02/2017 12:11

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