Il Paracetamolo uccide la compassione?
Scienza – Si dice che la tachipirina, cioè il paracetamolo, a dosi troppo alte è più pericolosa dell’influenza e che può uccidere, ma uno studio universitario americano avrebbe dimostrato che può uccidere anche chi non la ha presa, per mancanza di empatia.
Il paracetamolo è uno degli antidolorifici più utilizzati. Sostituisce l’aspirina in molti casi in cui non è indicata, serve per abbassare la febbre, per togliere il dolore ed è più adatta per i bambini. Non bisogna esagerare, però, ed è necessario seguire scrupolosamente le indicazioni dei medici e del foglietto illustrativo per evitare pericolosissimi sovradosaggi che possono portano alla morte di chi la assume. E’ di qualche giorno fa il caso del neonato di 50 giorni cui era stata praticata una circoncisione rituale casalinga e che è morto perchè i genitori, per calmargli il dolore provocato dall’amputazione, invece di portarlo in ospedale gli hanno dato troppo paracetamolo.
Quello del sovradosaggio non è però il solo richio che si corre assumendo troppa tachipirina. Potrebbe trasformarci in assassini. Un caso raro, talmente raro che ancora non si è verificato e che si spera non si verifichi mai, ma uno studio scientifico americano avrebbe dimostrato che i pazienti che assumono abitualmente paracetamolo hanno un pericoloso calo del livello di compassione umana, il sentimento che ci impedisce di far del male, di infierire, e che ci porta ad aver pietà per i nostri simili in difficoltà. In pratica, dosi troppo alte e continue di paracetamolo se non uccidono potrebbero spingere all’assassinio. Sarà vero?
La scoperta deriva da uno studio condotto da dei ricercatori Dominik Mischkowski, del National Center for Complementary and Integrative Health, National Institutes of Health, Jennifer Crocker del dipartimento di Picologia dell’Ohio State Univerity e Baldwin M. Way del Department of Psychology and Institute for Behavioral Medicine Research empre dell’ Ohio State University (USA). Lo studio è stato pubblicato dalla rivista scientifica “Social Cognitive Affective Neuroscience” lo scorso 5 maggio. Gli scienziati hanno diviso un gruppo di 820 studenti universitari volontari in due gruppi. Ad un gruppo è stato somministrato un placebo mentre all’altro gruppo una dose di acetaminofene, il principio attivo del paracetamolo. Un’ora dopo l’assunzione gli studenti dovevano leggere otto storie i cui protagonisti vivevano esperienze di dolore profondo o seguivano la malattia e la morte di una persona cara. Alla fine gli studenti dovevano valutare il grado di dei protagonisti delle storie, dando un punteggio da 1 (assenza di dolore) a 5 (massimo dolore).
Lo scopo dello studio era valutare quanto il farmaco influisse, a livello neurochimico, sull’attivazione dei sentimenti. L’esame dei risultati finali, in cui si è notato un vertiginoso calo di empatia al dolore altrui negli studenti che avevano assunto paracetamolo, ha portato gli scienziati a sostenere che il paracetamolo può avere delle ricadute sociali perchè riduce l’empatia per il dolore altrui. L’empatia regola il comportamento prosociale e quello antisociale, e un quarto degli americani assume il paracetamolo almeno una volta alla settimana. Gli scienziati hanno affermato di non sapere il motivo di questo risultato, e che continueranno ad approfondire gli studi.
Detta così sembra una cosa ovvia. Se ho dolore, prendo un antidolorifico e mi passa. Se vedo qualcuno che soffre, probabilmente sarò portato ad offrirgli lo stesso rimedio, ma se non ne vuol approfittare, beh, allora, se gli piace soffrire sono fatti suoi. Ad esempio, stammattina mi sono alzata con un gran mal di testa, ho preso 10 gocce di tachi e ora mi è anche migliorato l’umore. E gli altri? Eh, ognuno pensi ai mal di testa suoi.
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