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Bertola: il mostro rosso di Ossona andrà abbattuto?

La Bertola Central Docks ha lasciato moltissimi strascichi, in tantissimi settori dell’economia e del sociale. C’ è la tragedia degli impiagati rimasti senza lavoro,, quella della cooperativa ceh è a sua volta sula via della chiusura, quella dei piccoli fornitori dell’azienda e quella dei tanti creditori che non verranno mai risarciti. Poi c’è  il Senegal e della piantagione depauperativa dei terreni e dei diritti dei contadini senegallesi, d qundo Berotla progettava di trasformare i magazzini in depositi di carburante di derivazione da oli vegetali. C’è poi il debito lasciato nei confronti del Comune di Ossona che è di dimensioni tali da incidere sul bilancio e non permettere di erogare i servizi e ha causato una notevolissima differenza fra tasse accertare e tasse riscosse, ci sono gli oneri di urbanizzazione che non si sa ancora se sono stati o meno pagati. Alcune di questi argomenti ha fatto nascere un alert anche alla cCorte dei Conti.

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Non ultimo fra i disastri causati dalla vicenda Bertola, però, è il danno ecologico causato da quel brutto e grosso mostro di cemento rosso che si trova tra il corridoio ecologico di interesse europeo e i depositi di benzina della Sarpom, di cui ora non si sa che cosa fare. La gestione dei capannoni al momento dovrebbe essere del curatore fallimentare che dovrebbe anche occuparsi di pagare le tasse dal momento del fallimento in poi. Qualche uccellino, non di quelli migratori che nidificano proprio nel prato a fianco della Bertola durante il loro trasferimento verso i paesi caldi, sussurra però che i capannoni sarebbero invece tornati nelle mani delle banche che avevano concesso i mutui per la loro costruzione. Si parla di sussurri perchè il falimento è di proporzioni tali che non basta un solo curatore fallimentare ma ci vuole un pool, un comitato di persone con vari tipi di esperienza, che si occupano di risistemare debiti (tanti) e crediti (pochi, generati.

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Uno dei nodi da sciogliere è il modo con cui sono stati costruiti i capannoni: difatti l’area bertola non è prettamente industriale. Nell’ultimo piano regolatore era stata indicata come area mista, senza meglio qualificarla, nell’attesa che vi fossero da esaminare delle proposte da parte di imprenditori  o costruttori e fare di conseguenza i piani di lottizzazione. Quelle aree quindi, a parte alcune che sono di insediamenti storici, non sono state lottizzate e non erano state definite regole precise i costruzione. La Bertola infatti ha costruito i suoi capannoni senza mai fare un piano di lottizzazione, ma solo avvalendosi degli sportelli unici di ampliamento industriale. Per spiegare schematicamente si può dire che una regola della legge 12, la legge Moneta, della regione Lombardia, quella che ha definito le regole dei Piani di governo del territorio ( PGT), permette agli imprenditori di ampliare un loro capannone fino al 30% dell’ampiezza purchè dimostrino , con un piano economico, di averne bisogno e di poter aumentare così produzione e posti di lavoro e purchè il terreno su cui si costruisce sia di proprietà dell’azienda. L’ampliamento è fatto  tramite lo sportello unico delle aziende, cioè direttamente all’ufficio tecnico comunale, senza passaggi in cosniglio comunale o in giunta. Ogni capannone della Bertola è un ampliamento di sportello unico del precedente capannone. Questo è avvenuto senza che vi fossero particolari controlli nei confronti delle pratiche proposte. Solo l’ultima volta, quando Bertola presentò la pratica di sportello unico per costruire un capannone su un terreno che non era il suo, fu detto di no. Ma solo dopo che come lega nord chiedemmo espressamente di controllare ogni atto relativo agli sportelli unici. Si era così ottenuto di non permettere l’aggravarsi di una situazione che già mostrava molte crepe. Ora ci si pone una domanda. Dato che per costruire quei capannoni, è stata utilizzata una legge per cui il permesso era dato con dei vincoli che non sempre sono stati rispettati, adesso che l’azienda non c’è più dovrà essere ripristinata la situazione iniziale, cioè i capannoni dovranno essere abbattuti? Questa è la domanda che si fanno in questi giorni in parecchi ad Ossona, perchè considerato anche lo stato miserevole e decisamente inadatto al lavoro che si è instaurato in quei capannoni, sarà impossibile, in tempo di crisi, trovare aziende che intendano sobbarcarsi una costosissima ristrutturazione per dei capannoni che potrebbero rischiare, fra qualche anno, di essere raggiunti da un decreto di obbligo di abbattimento. Non è difficiel intuire cheil degrado di quell’area è destinato a diventare sempre maggiore

Nota della redazione
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Articolo aggiornato il 22/11/2014 18:12

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